15 novembre 2005

Dallo Zen al Mikkyo


Il contributo giapponese al design del Terzo Millennio
di Isao Hosoe

Noi vediamo ciò che siamo disposti a vedere. Anche se è vero, come aveva già anticipato Aristotele, che il senso della vista è di una grande importanza, l’occhio vede solo quello che lui vuole vedere.
Lo Zen, come l’estetica del mondo moderno industriale, ha colpito l’occhio occidentale, perchè lo Zen era quello che l’occidente moderna cercava e voleva vedere.
L’arte cartesiana di Piet Mondrian e di Mies Van Der Rohe, la crociata contro il decoro di Le Corbusier e la sobria monocromaticità del cemento armato senza il vestito, volevano trovare l’alleanza nell’oriente.
È stato lo Zen ad offrire la copertura morale e spirituale all’estetica del mondo moderno occidentale.
È stato lo Zen con i suoi quadri altamente spirituali, con i suoi templi in bianco e nero, con i suoi giardini metaforici a dare l’immagine del Giappone all’occidente sin dall’epoca di Bruno Taut (1838-1938 l’architetto tedesco noto in Giappone come lo scopritore del palazzo katsura) fino ad oggi ("L’Impero dei segni" di Roland Barthes, Einaudi, 1984).
Il Buddismo Zen nasce in India ma è cresciuto in Cina, poi è maturato in Giappone dove ha trovato sia la sua maturità teorica (Dogen 1200-1253) nel periodo Kamakura, che i sottoprodotti culturali come il teatro Noh (Zemai 1363-1443) nel periodo Muromachi, e la cerimonia del Tè (Rikyu 1521-1591) nel periodo Azuchi-Momoyama.
Appunto lo Zen si é assunto il ruolo dominante della cultura giapponese nel periodo in cui nasceva e cresceva la nuova classe sociale, la casta dei Samurai, che ha sostituito il potere della classe aristocratica la quale aveva dominato i 400 anni del periodo Heian (794-1192).
I Samurai di Kamakura erano guerrieri fieri e coraggiosi, amavano le cose essenziali e avevano bisogno di uno strumento di identità capace di rappresentare la loro cultura e il loro potere, é stao lo Zen introdotto solo allora dalla Cina a dar loro piena soddisfazione.
Lo Zen era cresciuto in una Cina movimentata, in un clima fortemente positivista radicale affine al clima del Giappone prerinascimentale.
Secondo Daisez Suzuki (1870-1966), il massimo studioso del Buddismo Zen, lo spirito giapponese nasce nel periodo Kamakura dei Samurai i quali hanno avuto per la prima volta nella storia del Giappone unito l’invasione militare straniera.
Anche se quella invasione mongola aveva procurato al paese solo pochi danni, lo shock culturale non solo per la nuova classe dominante ma per l’intero popolo, é stato tale che il Giappone adolescente (Heian) é stato costretto a passare ad un gradino superiore di maturazione.
Il Giappone maturo non ama più i multicolori misteriosi del Mikkyo (Buddismo Esoterico), vuole credere solo a ciò che l’occhio vede (vuol vedere), vuole capire tutto con spietata logica razionale; capiva però che in fondo c’era il vuoto, il vuoto che noi sentiamo ancora oggi nella opulenza della società industriale avanzata;
Con questo spirito moderno lo Zen ha prodotto tutti quei segni così cari a Roland Barthes.
Barthes dice che mentre i segni giapponesi amano essere vuoti di significati, gli occidentali vogliono riempire i segni ad ogni costo con dei significati.
Dunque, il vuoto è l’essenza dello Zen. Non a caso ha trovato nella modernità occidentale, nell’estetica puritana, nella logica industriale, tanta affinità di fondo che la cultura occidentale di nascosto sognava di avere.
La società industriale occidentale forse l’ha avuta, magari sotto forma di Bonsai, ma si tratta di una restituzione assai deforme e limitata. Il concetto del vuoto dello Zen è tanto essenziale quanto è forte per captare e succhiare il mondo in forte crescita strutturale, dove ogni ridondanza viene punita con severità, potrà guidare la cultura del 21° secolo?
La cultura del bianco e nero, l’essenzialità delle linee rette e gli angoli retti, il piacere della rinuncia, gli elementi che si vedono anche nel movimento moderno di architettura e di design, saranno sufficienti a comprendere il grado di complessità del mondo a venire?
Lo Zen ha sostenuto la maturazione moderna dello spirito giapponese sin dal 1200 fino ai giorni nostri, lo Zen ha permesso ai giapponesi di entrare a far parte della società industriale, lo Zen ha promosso il concetto della qualità totale delle attività imprenditoriali, lo Zen insomma ha conquistato l’intera cultura industriale di questo secolo.
Ma sulla soglia del terzo millennio, dove ci si aspetta un mondo di una complessità alquanto imprevedibile e incredibile dal punto di vista sia sociale-economico, sia scientifico-tecnologico che culturale-spirituale, il vuoto dello Zen non sarà più in grado di comprendere e sostenere tale complessità.
Non a caso negli ultimi vent’anni il Giappone continua una silenziosa ma caldissima attenzione al Mikkyo tanto detestato sia dai Samurai che dal Giappone moderno.
Mikkyo, ripeto, è l’ultima fase dell’evoluzione buddista, perfezionato e completato da Kukai(774-835) in un Giappone degli aristocratici che amavano i colori, le donne e le poesie, e sapevano che la metà del mondo é invisibile ma non vuota.
I sostenitori di Mikkyo sapevano che il postulato di Aristotele sulla visibilità era limitato ed attraverso Mikkyo cercavano di "vedere" la parte invisibile.
Kukai nel descrivere l’universo aveva toccato ogni particolare in modo esauriente, ed appunto parlando delle qualità dell’acqua sosteneva che ci sono otto caratteristiche che garantiscono la bontà dell’acqua: dolce, fresca, morbida, leggera, pura, inodore, piacevole alla gola e non danneggia lo stomaco; dove il senso della vista gioca solo il ruolo secondario.
Aristotele invece cita in modo sbrigativo Talete che sosteneva l’importanza dell’acqua in quanto elemento essenziale di vita, deducendolo solo dal fatto che i semi sono umidi.
Un Mikkyo che parte dalla preghiera dicendo che l’accoppiamento dei due sessi é sacro, il piacere che ne deriva é sacro, il desiderio del sesso é sacro (Rishu-Kyo), un Mikkyo che non esclude nulla, un Mikkyo capace di comprendere sia il mondo visibile che la parte invisibile, sia il bene che il male, un Mikkyo che definisce la percezione umana molto meglio di quanto la moderna ergonomia riesce a comprendere, un Mikkyo poi che sintetizza l’universo in un disegno chiamato Mandala dove Budda è solo tra i tanti santi, pare che abbia tutti i requisiti per dare l’anima alla cultura del mondo industriale avanzato che il nostro terzo millennio vedrà fra poco, dove il design sarà capace di penetrare anche nella parte del mondo fino ad ora rimasta invisibile.

1 commento:

Anonimo ha detto...

E' vero che l'occhio vede solo quello che lui vuole vedere...la percezione delle cose non è mai uguale per tutti. L'immagine che abbiamo di noi stessi non è mai quella reale e cambia di continuo col rischio di non riconoscerci di fronte allo specchio.